Bonsai

Que otros se jacten de las paginas que han escrito; a mi me enorgullecen las que he leido
El lector - Jorge Luis Borges
“Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto”

martedì 13 maggio 2008

Civiltà contadina


Foto GZ_2008 Cascinale Paolo (San Fiorano)

"Non è finto il destrier, ma naturale,
ch'una giumenta generò d'un Grifo:
simile al padre avea la piuma e l'ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l'altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di là dagli aghiacciati mari."

dall'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto

L'opera in ferro battuto, apposta sull'angolo sud orientale del cascinale, è stata creata dal Sig. Savi di Grazzano nel 1929 a partire da questo disegno che ho ripreso nel numero di Febbraio 1930 della rivista "L'Architettura Italiana" in un articolo sulla ricostruzione del Cascinale Paolo, casa colonica di San Fiorano progettata con caratteristiche di comfort inimmaginabili per una famiglia contadina di quell'epoca, comfort non solo fisico ma anche morale.

Della casa colonica infatti faceva e fa tuttora parte integrante un piccolo teatro, un vero gioiello, simbolo di una cultura contadina di cui i Sanfioranesi vanno giustamente fieri.

Il teatro si trova esattamente dietro alla fontana, altra stupenda opera sulla quale spicca una scritta in latino, testimonianza dell'ironia e della benevolenza di cui godevano presso i propri coloni, i proprietari, Paola ed Emilio Augusto Botturi Polenghi. Dice "Ninfa del luogo: bevi, lava, taci"(!) La frase è stata ripresa da una iscrizione ritrovata su una fonte presso Palazzo Salviati ai piedi del Gianicolo a Roma.

Foto GZ_2008 Cascinale Paolo (San Fiorano)

giovedì 8 maggio 2008

Fotografando

Foto GZ_2008
Next Vintage Show Castello di Belgioioso
Caste dive

sabato 3 maggio 2008

Alle cinque della sera

La poesia non è un'espressione... È il tempo di notte, dormire nel letto, pensiero di quello che realmente pensi, rendere il mondo privato pubblico, ed è questo che il poeta fa (Allen Ginsberg)
Ya está el campo sin gente,
los montes apagados
y el camino desierto;
sólo de cuando en cuando
canta un cuco en la umbría de los álamos.
ultima estrofa de "El lagarto viejo" 26/07/1920 (Vega de Zujaira)
Federico Garcia Lorca
La campagna è deserta,
i monti sono spenti
ed è vuota la strada:
solo di quando in quando
un cuculo canta nell'ombra dei pioppi.
ultima strofa di "La lucertola vecchia"
di Federico Garcia Lorca


giovedì 1 maggio 2008

La collina

di Fabrizio De André
da "Non al denaro, non all'amore nè al cielo", liberamente tratto dall'Antologia di Spoon River
Foto "The Hill" di W.Willinghton


Scorci di Laudiade

Brevi spunti di storia del lodigiano (in latino Laudias che, con enfasi più epica, diventa Laudiade) con particolare attenzione al mio paese natale, San Fiorano.


Giovanni Agnelli
Grazie ancora una volta allo storico lodigiano Giovanni Agnelli, sono riuscito a rintracciare alcuni frammenti legati ad un sanfioranino di qualche secolo fa, un personaggio colto, uno studioso, un filosofo, oltre ad essere un religioso, forse il primo intellettuale di San Fiorano di cui siano rimaste tracce documentali.
Nel suo tomo stampato nel 1917 intitolato “Lodi ed il suo Territorio” l'Agnelli ci da una serie di indicazioni di grande interesse a proposito di San Fiorano. Tra le tante, una mi ha colpito:
Era di San Fiorano il padre Carlo Giuseppe Bignamini, vissuto nel convento dei Francescani Riformati di Codogno, poliglotta, autore di un Corso di filosofia e di molte dissertazioni di storia ecclesiastica e di uno scritto sul cilindro inclinato”.
Indicazioni scarne, come si vede, prive di datazione, con quella curiosa associazione tra competenze teologiche e geometriche! In ogni caso sufficienti a stimolarmi a rintracciare, presso la Biblioteca Braidense di Milano, un libro scritto da un certo F. CarloGiuseppe da S.Fiorano intitolato “L'indulgenza della Porziuncola illustrata” stampato nel 1764 dalla tipografia Giuseppe Galeazzi di Milano il cui autore, in fieri, assomigliava molto al personaggio citato dall'Agnelli.




Ora, un legame sicuro non c'è, ma credo non si possa che convenire che gli indizi e le coincidenze sono talmente rilevanti da indurre ad affermare con certezza quasi assoluta che siamo effettivamente in presenza della stessa persona.
Un francescano, di nome Carlo Giuseppe, colto, esperto in cose della chiesa, di San Fiorano!
Ce n'è a sufficienza per confermare che quel giorno, in quella splendida sala di lettura della Braidense, il libro che ho tenuto in mano e sfogliato con attenzione fosse effettivamente un libro scritto da un sanfioranino DOC la bellezza di 244 anni fa.
Non nascondo il piacere provato nello sfiorare le pagine di pergamena ancora in ottimo stato a giudicare dal colore e dallo scricchiolio prodotto mentre le sfogliavo. Ed in quell'ambiente poi, pensando alla storia di quel luogo, originariamente Biblioteca dei Gesuiti, aperta al pubblico come Biblioteca Nazionale solo nel 1786. Riporto qui una seconda pagina, tra quelle che ho scannerizzato, ovvero quella iniziale della Prefazione (notare la decorazione).




Emozionante leggere le parole di un compaesano del '700, in un italiano arcaico, colto, ma assolutamente intelleggibile.
Piccolo gustosissimo aneddoto giusto per rendere l'atmosfera. Nella prefazione Frate Carlo Giuseppe dice di avere cominciato a scrivere su questo argomento già nel 1759 ma che appunto solo 5 anni dopo il libro ha potuto essere dato alle stampe. Perché? Dice testualmente:
Perché, rispondo, non so se mi dica per buona, o per mala ventura, fui destinato nel 1760 da miei Superiori, comecché ritroso e di mal in corpo, al governo di un nostro Convento. Il qual noioso e intrigatissimo mestiero mi convenne esercitare per lo spazio di tre anni continui, fino alla fin del Settembre del 1763: durante il qual tempo non solo mi è stato impossibile proseguire i miei studi, ma avea perduto si sgraziatamente l'uso dello scrivere, che poi ripigliando il lavoro e cominciando a sporre le raccolte materie, non trovava da principio né verso, né bandolo a distrigar la matassa. Poi a dirla schietta io sono sempre stato un certo cotale, tutto impastato di flemma, che mai non ho saputo avvezzarmi a far le mie faccende con fretta. Ma lasciam dall'un de' lati queste baje, e favellando sul serio veniamo a narrare qual sia il disegno di questa mia fatica.”
Grande! Uno che certamente non aveva peli sulla lingua! Nemmeno parlando di se medesimo.
Me lo immagino (ritroso e di mal in corpo!) mentre da un lato confessa quanto il mestiere di priore del convento sia un mestiere noioso e intrigatissimo, e dall'altro fa autocritica dichiarandosi tranquillamente e senza problemi un flemmatico posapiano.
Continuerò comunque le ricerche per vedere se riesco a scoprire qualcosa di più, qualche ulteriore frammento di questa storia. Intanto ecco una foto della Chiesa delle Grazie di Codogno, detta dei Frati, per il fatto che dal 1623 vi era annesso appunto il convento dei Francescani Riformati (proprio il convento citato dall'Agnelli!) soppresso nel 1780 ed acquistato negli ultimi decenni del secolo scorso da Madre Cabrini che vi fondò la prima casa delle Missionarie del Sacro Cuore.



Chissà che non riesca comunque a rintracciare in quella Chiesa, risolvendo così un'altra potenziale coincidenza, il nome del priore del convento negli anni tra il 1760 ed il 1763. Mi sbaglierò, ma sono sicuro di conoscerlo già!

Consigli per gli acquisti

"Ogni lettore non è che un capitolo nella vita di un libro; se non tramanda la sua conoscenza ad altri è come se condannasse il libro ad essere sepolto vivo."
da una antica storia del deserto di Adrar (Mauritania Centrale)

Cristolu
di Salvatore Niffoi
Ed. Il Maestrale
Mi capita spesso di passare in rassegna gli scaffali di qualche grande libreria milanese senza una meta precisa, giusto per curiosare un poco e magari scoprire, per puro caso, qualcosa di interessante sfuggito alle modalità più tradizionali con le quali solitamente prendo informazioni e decido l'acquisto di un determinato libro.Tra i miei criteri di scelta non figurano fra l'altro nemmeno i premi letterari (preferisco non farmi condizionare a priori da giudizi cosiddetti “di qualità”) e qualche volta può essere una fregatura. Questa “criticabile” abitudine mi ha portato ad esempio in questo caso ad ignorare completamente, perlomeno fino a qualche giorno fa, un autore come Salvatore Niffoi, vincitore a quanto ora mi risulta di un Campiello nel 2006 ed autore di oltre mezza dozzina di romanzi.L'acquisto di Cristolu è stata un esperienza assolutamente particolare!Lo osservo sullo scaffale. Piccolo, fuori standard, piazzato di faccia anziché di costa, di un inusuale color marrone con una strana scritta in nero per titolo, “Cristolu”, a fianco di una bizzarra maschera di pietra raffigurante un personaggio grottesco, sicuramente un diavolo, ma dall'aspetto un po' comico, con un nasone immenso, baffoni e pizzetto!Lo prendo, me lo rigiro fra le mani cercando di cogliere qualche elemento in più. Le dita scorrono ora sui bordi, lentamente, quasi a prolungare l'attesa, poi finalmente lo apro. Gli occhi corrono a leggere il risvolto di copertina. Una pugno nello stomaco! Cito testualmente:“Mi chiamo Barore Suvergiu, noto Cristolu. Nato a Orotho il giorno 19 Febbraio 1850. Stato civile nubile e professione nessuna. Un po' frate e un po' bandito , questo lo decida chi leggerà un giorno la mia storia. Altezza un metro e sessantacinque senza i cosinzos, capelli pochi, occhi verdi e sempre tristi da quando il destino mi ha dato un calcio nel basso ventre e il Signore non è riuscito a trattenere la mia collera. Segni particolari: una cicatrice da forcipe sulla tempia sinistra e una da coltello sul fianco destro”.Vorrei chiamare all'appello tutti i pubblicitari d'Italia per vedere che voto danno ad un teaser del genere. Cristolu, già un nome curioso che sa un po' di blasfemo! Sembra trattarsi di un uomo (frate, bandito), ma è nubile! Che sia un errore, oppure in Barbagia, celibe o nubile non fa differenza? Cicatrice da forcipe? E' uno che ha cominciato a soffrire ancor prima di mettere fuori il naso dall'utero materno! Occhi verdi, tristi. E' il contrasto malinconico per antonomasia!Chissà che storia nasconderà! Lo compro, lo leggo, con una rapidità che non sperimentavo da tempo. Rimango strabiliato!All'inizio pensavo di essere incappato in una riedizione stampata di quel pezzo irresistibile di “Aldo, Giovanni e Giacomo”, dove Giovanni regge la scena praticamente da solo con quell'uso parodistico di un dialetto sardo chiaramente fasullo, estremo, duro e divertentissimo.Poi la catarsi. L'incipit vero, in cui Niffoi descrive una gelatinosa atmosfera novembrina che avvolge ed accompagna il parroco di Orotho, Don Frunza, novello don Abbondio, mentre si reca per la benedizione al camposanto di questo paese della Barbagia; un grandissimo pezzo di narrativa. Poi il sardo! Niffoi ne fa un uso viscerale quasi onomatopeico, come Camilleri del siculo.Storie di òmines e di èminas di questo strano paese si intrecciano intorno al diario di Barore Suvergiu, noto Cristolu, diario scoperto per caso (o forse no!) su una tomba, un po' in disparte rispetto alle altre, nel camposanto di Orotho; diario che tanto colpisce preti e vescovo barbaricini al punto da indurli ad utilizzarlo, al posto dei Vangeli, come lettura sulla quale basare il sermone domenicale.Il racconto di don Frunza sulla vita di Cristolu attirerà infatti i parrocchiani di Orotho come mosche sul latte, dopo che per diverse ragione tutti quanti avevano mostrato ormai da tempo segni di profonda insofferenza (e quindi di rinuncia) alla domenicale rievocazione (millenaria) della vita di Cristo.Il cuore (apocrifo) del racconto è il paragone latente fra due storie di un estremo sacrificio in nome degli altri: a favore di una piccola comunità barbaricina, quello di Cristolu, dell'intera umanità, quello di Cristo.Quindi nulla di nuovo a prima vista, solo una semplice metafora, se non che, poco alla volta, si scopre come il sacrificio avvenga con modalità diametralmente opposte: l'occhio per occhio di Orotho appare violentemente contrapposto al porgi l'altra guancia di Gerusalemme.Il parroco, contro tutto e tutti, istituzioni sacre e profane, famiglie barbaricine potenti e prepotenti, ne approfitta alla grande, allungando il brodo, centellinando i capitoli, creando ad arte le interruzioni, rimandando sul più bello alla puntata/domenica successiva. Un sequel magistralmente orchestrato fino a scoprire piano piano l'intera vicenda con un crescendo rossiniano di civica consapevolezza.
L'ozio come stile di vita
di Tom Hodgkinson
Rizzoli
Altro acquisto d'impulso. Per la verità questo libro ha sostato per parecchi mesi sullo scaffale della mia libreria che ospita i libri in lista d'attesa. Compro infatti molti più libri di quanto umanamente riesca a leggerne e quindi ho dovuto creare questa “piazzola di sosta” dove dirottare le “eccedenze”. Per di più, un libro con questo titolo non poteva che meritarsi un po' di ozioso sano riposo, nonostante il titolo rappresentasse, rispetto al lavoro del suo autore, un curioso ossimoro che predisponeva a non prendersela così tanto comoda.Ma come disse Oscar Wilde, “non far niente è il lavoro più duro di tutti”!Come sempre, se non si conoscono né libro né autore, è il risvolto di copertina ad incitare al misfatto. Leggere che l'ozio ha avuto grandi ed autorevoli cantori, da Russel a Whitman, da Stevenson a Nietzsche e Byron, è stato più che sufficiente ad incuriosirmi. Comprato!Il libro è in effetti un po' snob e anacronistico, certamente ironico, assolutamente “rilassante”.Snob perché è una voce fuori dal coro di un mondo dominato dall'etica del lavoro, dall'efficienza e dal consumismo. Anacronistico perchè, seguendo il filo delle dotte citazioni, sembra quasi di immergersi "languidamente" in un passato remoto scomparso per sempre nell'oblio. Ironico per alcuni punti di vista in difesa dell'ozio portati evidentemente all'esasperazione. “Rilassante” perché racconta, con dovizia di richiami a personaggi famosi, la giornata tipo dell'ozioso partendo dal primo capitolo intitolato “Svegliarsi è dura” passando per “Lavori e dolori” tergiversando su “L'arte della conversazione” e concludendo con “Un sogno ad occhi aperti”.Da “I pensieri oziosi dell'ozioso” di J.K.Jerome un assaggio dello spirito del libro: “Ah come è delizioso voltarsi dall'altra parte e tornare a dormire, proprio solo per cinque minuti. Io mi domando: esiste un essere umano, a prescindere dall'eroe delle scuole domenicali, che si alzi sempre volentieri?”Poi la sveglia. “Quale genio malvagio ha riunito questi due nemici giurati dell'ozio, l'orologio e l'allarme, in un unico dispositivo? Non solo alzarsi presto è del tutto innaturale, ma io voglio affermare che restarsene a letto mezzo addormentati, gli studiosi del sonno chiamano ipnagogico questo stato, è estremamente benefico per la salute e l'umore.” E via “filosofeggiando” fino all'ora di pranzo, con l'imperversare nefasto del fast food a danno della cultura del pranzo tradizionale che durava, nel bel tempo andato, da due a tre ore. Poi gli oziosi che guardano con orrore ai MacDonald o agli Starbucks. I caffè del XXI secolo sono in effetti molto diversi da quelli del XVIII secolo che erano luoghi d'ozio per eccellenza. Quando, in piena rivoluzione industriale furono introdotte tasse sulla vendita della birra, rendendo illegali i pub privi di autorizzazione ufficiale, William Cobbett (politico, agricoltore, giornalista) iniziò una campagna a favore dei pub, sostenendo che la loro chiusura era un segno evidente della miseria e della decadenza prodotta dall'industrializzazione. “Un tempo il pub aveva la funzione di centro della comunità: offriva un locale aperto a tutti dove persone le cui case erano probabilmente troppo modeste per ricevere gli amici potevano discutere liberamente, bere a volontà e fare baldoria. Ci si fa un'idea chiara di come la Rivoluzione Industriale stesse eliminando il divertimento dalla vita”. Cobbet riteneva che gli elementi essenziali di una vita felice fossero le tre B: “Bread, Beer and Bacon” (!). E Chesterton dopo di lui scriveva “Certamente sacrificheremmo tutti i nostri cavi, gli ingranaggi, i sistemi, le specialità, la scienza fisica e la frenetica finanza per una mezzora di felicità come quella che abbiamo vissuto spesso con degli amici in una comunissima taverna”.Altro capitolo, forse il più bello ed ironico, quello sulla passeggiata quotidiana. Provo ad esprimere il concetto in forma matematica.Sia X una persona normale ed Y un ozioso. Nello spostamento di X da A a B l'importante per X è B, ovvero la meta. Nello spostamento di Y da A a B per Y ciò che conta è AB ovvero il tratto fra A e B, non importa né da dove si parte né dove si vuole andare.Credo che questo renda molto bene il punto.Walter Benjamin, filosofo radicale, era particolarmente attratto dalla figura del flaneur francese, traducibile con bighellone oppure ozioso, che stava ad indicare la figura elegante del distinto perdigiorno che amava passeggiare senza scopo sotto i portici parigini, osservando, indugiando, ciondolando. Figura il cui eroe era ad esempio Baudelaire, invidiato per essersi liberato dalla schiavitù del salario e quindi libero di girovagare senza meta per le vie di Parigi.Ebbene Benjamin ci regala questa perla:“Nel 1839 era elegante portare una tartaruga andando a passeggio. Il che da un'idea del ritmo del flaneur nei passages (di Parigi ndr)”.“Una tartaruga al guinzaglio! Che meraviglia. Di sicuro più rasserenante di un cane iperattivo che annusa, abbaia, sbuffa, urina, strattona.”Grande!

Antologia di Spoon River
di Edgar Lee Masters
Einaudi
E' un classico (è stato scritto agli inizi del secolo scorso) che ho letto solo oggi e che invece avrei potuto leggere anni fa se solo avessi avuto allora la curiosità di indagare un po' più a fondo sull'ispirazione lirica di quello che considero uno degli album più belli composti da un grandissimo tra i poeti contemporanei, Fabrizio De Andrè.Ricordavo infatti, fino ad un paio di mesi fa, solo poche cose legate a Spoon River ed al suo autore, entrambe filtrate dalla musica che ascoltavo nei primi anni settanta. La prima è appunto lo stupendo album del Faber intitolato “Non al denaro, non all'amore...” composto da nove brani i cui testi sono ispirati da nove epitaffi che DeAndrè ha pescato (a mio avviso migliorandoli!) in Spoon River; la seconda è una fugace citazione nella “Canzone per Piero” dove Francesco Guccini canta “E' in gamba sai, legge Edgar Lee Master......”.Ma forse è stato meglio così. Uno perché ho rispolverato oggi dopo tanto tempo il disco del Faber e me lo sto riascoltando da almeno un paio di settimane.Due perché leggere le poesie di Lee Masters con questa colonna sonora di sottofondo, è un'esperienza piacevolissima.Tre perché oggi, al contrario di quando mi sono imbattuto in Spoon River per la prima volta, non ho più a che fare con la visione quasi epica della vita che potevo avere, adolescente, nei primi anni settanta, contaminato per di più dalle illusioni intellettualoidi di qualche amico sessantottino più grande di me. Ovviamente oggi, attraversando una fase più realista dell'esistenza, mi sento in maggior sintonia con lo spirito scarno ed asciutto di questa stupenda raccolta di poesie.Ci ho messo due mesi a leggere l'intera Antologia. Nulla di strano perché questo è secondo me il destino di un libro di poesia. Distillarne goccia a goccia il contenuto. Tenerselo a tiro per molto tempo, leggerne magari solo una o due pagine per volta, assaporarne il contenuto lentamente, gustandone le pieghe, i dettagli, i minimi risvolti. Il ritmo della poesia è per definizione da andamento lento.Nell'Antologia Edgar Lee Masters snocciola 19 storie che coinvolgono un totale di 244 personaggi che coprono praticamente tutte le categorie e i mestieri umani. In ogni poesia ciascun personaggio, dalla propria tomba sulla collina di Spoon River, racconta al mondo in forma di epitaffio il senso della propria vita o della propria morte. Si dice che l'autore abbia tratto ispirazione osservando i suoi concittadini, gente realmente vissuta nei paesini di Lewistown e Petersburg, vicino a Springfield.Leggo dall'introduzione della bellissima edizione Einaudi un commento di Cesare Pavese, uno dei primi estimatori di Lee Masters."Come i morti di Dante , che sono più vivi che in vita, i morti di Spoon River prolungano in una forma sepolcrale tutti i loro malcontenti, le loro passioni. Ma il parallelo si ferma qui, poiché i morti di Dante hanno uno schema universale in cui rientrano e nessun dannato si sogna di criticare la propria destinazione, mentre quelli di Spoon River nemmeno da morti han trovato una risposta, e meno di tutti quelli che lo dicono."

Antiqua

In questo spazio voglio tener traccia di alcuni fatti salienti e commentare alcuni dei "risultati" prodotti da uno dei miei hobbies degli ultimi anni, l'acquisto, principalmente su e_bay, di libri antichi (ovvero libri con almeno100 anni di vita). E' per me un piacere incredibile tenere un libro antico tra le mani, sfogliarne con cura ed amorevole attenzione le pagine per non accelerare l'inevitabile processo di degrado, sentire tra le pagine l'acre profumo dei secoli. Al di la di ciò che racconta, al di la del contenuto, un libro porta sempre con se la sua storia, il suo vissuto personale intrinseco, una traccia degli avvenimenti in cui è stato immerso nel suo cammino fino a noi, un pezzo della vita di chi lo ha letto e lo ha riposto all'interno della propria casa.Elementi questi che ne fanno un oggetto "vivo".


Il libro in questione è in inglese ed è intitolato "Popular Customs, sport and recollections of the South of Italy"di un certo Charles MacFarlane edito a London dalla C.Knight&Co nel 1846.

Il libro uscito a metà '800 è pieno zeppo di luoghi comuni sull'Italia centro-meridionale tanto radicati che non sembra nemmeno che siano passati 160 anni. Ma è anche pieno di stupende figure o personaggi caratteristici dell'Italia di quel tempo descritti con dovizia di particolari, a volte anche curiosi, spesso illustrati anche attraverso disegni molto belli (ne riporto qui un paio).
Basta scorrere rapidamente l'indice per vedere qualcuno di questi personaggi, raccontati con l'ingenuità del visitatore straniero, ma anche con l'occhio disincantato e sicuramente non campanilistico di un anglosassone:
a) Mangiatori di maccaroni (e di pasta in generale) indicata come il cibo dei poveri ed il pasto preferito dai napoletani. Bellissimo l'accenno agli “strangola-prevete”.
b) Gli scrittori di lettere conto terzi. L'accento qui è posto su una differenza tra londinesi e romani o napoletani. Anche a Londra c'è molta gente che non sa scrivere, ma è sempre più difficile trovare famiglie dove non ci sia nemmeno un membro che sappia scrivere. Ragion per cui, al contrario di Roma, ma specialmente di Napoli, il mestiere di scrivano conto terzi a Londra è praticamente scomparso.
c) I Festaioli. Vengono descritti i principali balli preferiti dagli italiani come il saltarello romano, la tarentella (si proprio con la e) napoletana
d) I canta-storia. Quelli del Molo di Napoli (in ccoppo o Molo) non suonano mai uno strumento ma eventualmente si fanno accompagnare perchè loro, nel raccontare, hanno bisogno di avere le mani libere per gesticolare. Una delle storie preferite sembra fosse la Gerusalemme liberata del Tasso.
e) I ciarlatani. Figure tipicamente presenti sia a Roma che a Napoli, ma a giudicare dall'accento, provenienti da altri posti e particolarmente dalla Toscana (solo pochi dalla Lombardia e quei pochi principalmente da Brescia e Bergamo). L'impudenza, la loquacità,la velocità di mano e di sguardo erano giudicati incredibili.
f) I giocatori di morra.Gioco molto antico (noto fin dall'antica Roma con il nome di “micare digitis”) riservato ai soli uomini che giocavano con passione ed accanimento. Il gioco era condannato dalla Chiesa come diabolico.
g) I burattinai. I burattini o fantoccini erano uno spettacolo molto più popolare della “lanterna magica”, altra attrazione comunque in voga nell'800. Commedie , tragedie, pezzi dell a Bibbia. Il Giuda Iscariota era uno degli spettacoli preferiti e particolare era l'attesa che si creava per il momento dell'auto-impiccagione.

E via discorrendo per una pletora di altri personaggi.

Questa volta non ho alcun indizio sulla storia del libro a parte che mi arriva da una cittadina del Delaware di nome Seaford a ca 90 miglia da Baltimora.

Bonsai

"...........Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita. E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre a follia ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vano desiderio – è una barca che anela al mare eppure lo teme"

tratto dall'epitaffio di George Gray
in Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters