L'incompiuta
Non è il titolo di un libro ma è, salvo un caso che racconto poi, la fine che questo mese hanno fatto le mie letture. Non so dire se per il contenuto non invitante dei libri stessi o per una scarsa propensione all'affondo che mi ha inopinatamente assalito tutto ad un tratto in poche settimane, stà di fatto che in giugno ho cominciato a leggere ben 6 libri finendone uno solo. Temo che gli altri cinque torneranno, col segnalibro ancora innestato a triste memoria dei posteri nello scaffale della mia libreria dedicato alle letture “incompiute”.
Torneranno cioè in una sorta di limbo e saranno presto dimenticati, salvo per il fatto, non so se consolatorio, di trovarsi tutti quanti insieme, l'uno vicino all'altro. Ogni tanto mi assale la tentazione di regalare loro una ulteriore chance e qualche volta è capitato di farne uscire qualcuno (per la verità forse un paio al massimo) da limbo e passarli in qualche altro stato fisico compiuto (paradiso, purgatorio o inferno che fosse).
Elenco e breve spiega:
La deriva
di G.A.Stella e S.Rizzo
due ne hanno scritti e due ne ho provati. Se ne scrivessero un terzo non correrebbero rischi per conto mio. Un'altra volta libro del tipo “piove governo ladro”. E poi smettiamola di sputtanarci e proviamo a dirci cosa faremmo noi se fossimo nelle condizioni di fare qualcosa!
Adios
di Toni Capuozzo
non che non mi sia piaciuto, ma non ce l'ho fatta ad arrivare in fondo per non vedere quello che in realtà era evidente sin dalla prima pagina. Il rimpianto di una perduta stupenda gioventù ed il crollo dell'ideologia.
Riga 26
Piero Camporesi
Il segnalibro è fermo a pagina 22 di 375. Impossibile dire perchè.
Ed infine due libri sulla creatività, il primo che è stato nello scaffale “lista d'attesa” per forse tre o quattro anni non ricordo (ne ricordo perche e come ci è finito) di Hubert Jaoui intitolato
La creatività amore per la vita.
L'altro acquistato in un momento di follia “americana” (quelli che credono che tutto si possa imparare sui manuali pratici) di Roberto Cotroneo dal titolo
Manuale di scrittura creativa.
Il primo, semplicemente inguardabile. Il secondo interrotto per la stizza di aver capito che non potrò mai essere un vero creativo!
Lo solitudine dei numeri primi
di Paolo Giordano
Mondadori
Non è un libro di alta matematica. Il titolo è solo una bella ingegnosa metafora. Al di la di un breve passo nel quale l’autore ne svela appunto il senso, il libro non parla infatti di numeri ma di persone.
Persone speciali, come speciali appunto sono, nell’insieme dei numeri interi, i numeri primi, ovvero quei numeri divisibili solo per se stessi e per uno.
Numeri primi che hanno per i matematici un fascino particolare, un alone di mistero irrisolto. Nella categoria dei numeri primi ce n’è poi una specialissima che è quella dei primi cosiddetti “gemelli” ovvero quelle coppie separate tra loro da un solo numero (ad esempio 11 e 13, 17 e 19, etc etc), vicinissimi cioè l’uno all’altro ma contemporaneamente irrimediabilmente separati tra loro, isolati, soli.
E’ di due persone così che parla questo romanzo, opera prima del 26enne giovane Fisico, Paolo Giordano. La storia della loro vita: lei, Alice, zoppa fin da bambina per un incidente sugli sci, anoressica per incompatibilità col padre; lui Mattia, matematico intelligentissimo, stravolto dai sensi di colpa, fino a diventare autolesionista, perché, dentro di se, sa di essere stato alla fine la causa ultima, pur se indiretta, della scomparsa della sorellina, ritardata mentale, da lui “dimenticata” su una panchina di un parco perché si vergognava di portarla con se alla festa di compleanno di un compagno di scuola.
Non solo “primi”, cioè speciali, ma “primi gemelli”, cioè vite costantemente ad un passo dal diventare un tutt’uno ma irrimediabilmente alla fine separate.
Convergenze parallele avrebbe detto Aldo Moro.
Buona l’idea, avvincente quanto basta da portarmi a concludere il libro (cosa che, vista la fine che hanno fatto gli altri 5 che ho cominciato e non finito questo mese, deve essere già considerata un successone). Epilogo della storia probabilmente non all’altezza dell’incipit, ma in complesso un buon libro.
Dieci e lode alla metafora!