Bonsai

Que otros se jacten de las paginas que han escrito; a mi me enorgullecen las que he leido
El lector - Jorge Luis Borges
“Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto”

domenica 6 aprile 2008

Scorci di Laudiade

Brevi spunti di storia del lodigiano (in latino Laudias che, con enfasi più epica, diventa Laudiade) con particolare attenzione al mio paese natale, San Fiorano.

Impossibile parlare della mia terra, il lodigiano, senza ricorrere, tra le diverse fonti, proprio alla "Laudiade" di Ioannes Iacobus Gabianus.E' un poema epico (didattico) in 5 libri, scritto nel XVI secolo, che narra appunto del lodigiano, delle sue genti, dei borghi, della natura, della pianura e del fiume, del grande fiume, il Po che ne traccia il confine meridionale insieme ai due affluenti il Lambro, sul confine occidentale e l'Adda su quello orientale. E' composto di 3991 esametri in latino, in una forma cosidetta encomiastica, ovvero di elogio alla bellezza della terra e della gente che la abita. E' quasi una enciclopedia per la vastità degli argomenti che tocca (contiene infatti tutto lo scibile su Lodi e il lodigiano, dai beni, ai paesi, agli ordini religiosi e monastici, ai castelli, ai dignitari ecclesiastici etc.)
Due parole sull'autore della Laudiade. Ioannes Iacobus Gabianus è un poeta, tra i primi docenti della prima scuola superiore fondata all'inizio del XVI secolo nel territorio di Lodi, ovvero il Ginnasio decurionale della città. Gabiano prese l'incarico il 2 agosto del 1557 per uno stipendio annuo di 400 Lire, incarico che gli venne rinnovato ogni quattro anni ininterrottamente fino al 1579, ovvero un anno prima della sua morte. La lettera d'incarico recitava”...magnificum Ioannes Iacobus de Gabiano, gramatices professorem, ad docendum iuvenes bonas litteras”.
All'insegnamento delle lingue classiche alternò la scrittura di poemetti, orationes e prose con uno stile colto ma ridondante e ricco di retorica.
Un esempio: il Gabiano fu incaricato di scrivere e recitare il discorso celebrativo per l'elezione a Vescovo di Lodi, il 20 maggio 1563, del Cardinale Capizucco. Tale era il suo abituale stile enfatico che, con tutta naturalezza, si trovò a concludere il breve sermunculus che stava pronunciando con l’augurio, obiettivamente un po’ eccessivo, che il cardinale dovesse essere eletto Papa il più presto possibile!
Un po' troppo, visto che in quel momento in Vaticano viveva, sano ed arzillo come un pesce, Papa Pio IV, tranquillamente e beatamente in carica!! Tra l’altro l’augurio non funzionò granché visto che alla morte comunque ravvicinata di Pio IV (avvenuta due anni dopo, nel 1565) il successore non fu di certo il Vescovo di Lodi bensì Antonio Michele Ghisleri da Bosco Marengo con il nome di Pio V (rimase in carica per altri 10 anni!!)
Questo suo modo enfatico di esprimersi ed una spiccata fantasia si ritrovano anche nella Laudiade dove il Gabiano, nell'illustrare Lodi e tutti i paesi del lodigiano, si lancia in una ricerca etimologica a volte esasperata, indicando il significato o la provenienza dei nomi dei vari paesi, spesso con un effetto di palese forzatura antistorica che ai miei occhi appare perfino un poco comico. Ma alla poesia si perdona tutto!

giovedì 3 aprile 2008

Antiqua

In questo spazio voglio tener traccia di alcuni fatti salienti e commentare alcuni dei "risultati" prodotti da uno dei miei hobbies degli ultimi anni, l'acquisto, principalmente su e_bay, di libri antichi (ovvero libri con almeno100 anni di vita). E' per me un piacere incredibile tenere un libro antico tra le mani, sfogliarne con cura ed amorevole attenzione le pagine per non accelerare l'inevitabile processo di degrado, sentire tra le pagine l'acre profumo dei secoli. Al di la di ciò che racconta, al di la del contenuto, un libro porta sempre con se la sua storia, il suo vissuto personale intrinseco, una traccia degli avvenimenti in cui è stato immerso nel suo cammino fino a noi, un pezzo della vita di chi lo ha letto e lo ha riposto all'interno della propria casa.Elementi questi che ne fanno un oggetto "vivo".




Proseguendo la ricerca legata al Marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio, sono entrato in possesso di un interessante pezzo antico, penso raro, questa volta non un libro ma una rivista.
Si tratta del numero 45, uscito l'8 Settembre 1878, del settimanale “L'illustrazione popolare” edito da F.lli Treves a Milano.
L'interesse sta nella data ed ovviamente nel contenuto.


Questo numero della rivista è uscito infatti un mese e quattro giorni dopo la morte del Marchese Giorgio avvenuta appunto il 4 Agosto del 1878.
E come ogni rivista “popolare” che si rispetti, tra le notizie di attualità, in questo numero, viene data appunto quella della morte del Pallavicino, dedicandogli due articoli ed un bellissimo ritratto di un marchese invecchiato, l'espressione stanca (confrontare con quello del 1860 ovvero di 24 anni prima).
Il primo articolo, inserito nella rubrica “Contemporanei celebri” è di fatto un necrologio e racconta, esaltandoli, i tratti salienti della vita patriottica del marchese.

Il secondo invece, nella rubrica “Brani scelti” non è altro che la pubblicazione di due lettere inedite di Giorgio Pallavicino, la prima al Municipio di Vienna a commento del sussidio che l'Italia voleva mandare al popolo viennese a seguito dei danni provocati da una inondazione. L'altra invece, dove il destinatario non è menzionato, che testimonia il puntiglio e l'estrema cura ed attenzione ai particolari che Pallavicino aveva nei confronti dei suoi scritti prima di pubblicarli, non disdegnando di 'umiliarsi' chiedendo persino un parere ai suoi più fedeli amici.

martedì 1 aprile 2008

Bonsai

"Non c'è da meravigliarsi che il Creatore, a quanto si dice, abbia fatto un passo indietro dopo aver formato l'uomo dalla polvere della Terra e avergli soffiato nelle narici un alito vitale, facendolo diventare un essere vivente. La cosa davvero strana fu che Adamo non si stupì."

Jostein Gaarder
da “Scacco matto Enigmi, fiabe e racconti”

Consigli per gli acquisti

Tra i quattro libri letti in marzo, due sono di Mauro Corona. Avevamo preso tramite amici un appuntamento con lui per andarlo a trovare ad Erto, dove vive e lavora. Ci siamo andati, ma all'ultimo momento il Mauro ci ha elegantemente bidonati. La bellezza arcana di Erto vecchia e delle montagne intorno (incluso il tragico Toc) e la gentilezza di quelli del Vajont (grazie Sergio!) hanno comunque riempito abbondantemente una stupenda giornata furlana.

Nel legno e nella pietra
di Mauro Corona
Mondadori
Sprazzi di poesia allo stato puro (“Verso i primi di maggio, mentre cantavano i cuculi in una giornata piena di sole, Sepp se ne andò! Morì d'improvviso, da solo, nella sua casa. Un colpo al cuore. Volò oltre con eleganza e in silenzio, come quel giorno sul passaggio chiave.”).Il libro contiene momenti di struggente amara tristezza (“La vita è un segno di matita curvo e sottile, che finisce ad un certo punto. Per molti è lungo, per altri corto, per altri non parte nemmeno. La gomma del tempo verrà poi a cancellare quel segno. Di noi non resterà nemmeno il ricordo”).Ma anche momenti di serena speranza.Corona narra ad esempio dei suoi anni alla cava di marmo del monte Buscada; di ciò che era diventato uno dei motivi forti per resistere ad un lavoro altrimenti da Cayenna, ovvero la speranza di trovare nei blocchi di marmo il cosidetto occhio di pescecane (fossile), raro quello nero, unico, quasi impossibile, quello azzurro. In ogni caso remuneratissimi dai collezionisti di città.Scavare, spaccarsi la schiena ad aprire i blocchi di marmo, sudare allo stremo sotto il sole cocente, con la speranza di scoprire un giorno o l'altro queste rarità e potere così smettere di lavorare per vivere da nababbo. Questa si che era motivazione!Mentre leggevo mi veniva in mente un parallelo. Anch'io strenuo instancabile lettore, mi sento uno scavatore antelitteram, tra milioni di libri in quelle cave di marmo che sono le librerie del mondo, alla ricerca dei miei occhi fossili di pescecane.Perlomeno neri, con speranza di azzurro!In questo libro di Corona ne ho trovati un paio, uno vicino all'altro, fatto rarissimo. Due tra i più brillanti e lucenti occhi neri di pescecane fossili che abbia mai trovato nella mia storia di scavatore di libri!Il primo narra di un modo ertano, che non c'è più, di vivere il capodanno. Pagine che brillano di luce intensa, che cominciano così: “Sulla montagna l'anno finiva nel grembo della neve, che lo prendeva per mano e lo accompagnava al di là di ciò che oramai era stato. E tornava con l'anno nuovo e, appena oltre il confine dell'ora, lo consegnava al mistero di altri dodici mesi........”Il secondo narra del vecchio sentiero che conduceva dal paese alla cava, quasi fosse un caro amico, oggi perduto per sempre; e si conclude così : “...Raccontavo questi episodi a mio figlio e un nodo mi serrava la gola. Non riesco a rassegnarmi che di quel tempo beato non sia rimasto nulla nemmeno il sentiero. Se ne sono andati tutti: gli amici, gli anni, la gioventù, l'entusiasmo, il modo di vivere di allora. Mi consolo pensando che la vita è una lunga serie di traslochi dove molto si perde ma qualcosa anche si trova. E allora tiro avanti, senza speranza e senza disperazione, aspettando serenamente l'ultimo trasloco.” Questi due brani, sei pagine in tutto, mi hanno reso un po' più ricco, dentro.

Finchè il cuculo canta
di Mauro Corona
Biblioteca dell'Immagine
Bello, magari non al livello degli altri, ma in perfetto stile Corona. Ne è valsa la pena se non altro per una storia, quella del corvo Franz, compagno e amico fedele di Corona per un tratto di viaggio, che si conclude con un'immagine commovente ed ironica al tempo stesso. “Non ho più allevato corvi. Il ricordo di Franz però mi tiene sempre compagnia. Quando scalo il campanile di Montanaja sale con me, volandomi vicino. Certe notti lo rivedo sul trespolo, silenzioso che mi controlla. A volte invece è triste, con la testa reclinata, come quando lo facevo bere.” Non so cosa avrei dato per assistere a queste bevute!

Il libro dei libri perduti
di Stuart Kelly
Rizzoli
Forse l'occhio azzurro fossile di pescecane che stò cercando avrei potuto trovarlo in uno di questi libri perduti! Che disastro. Kelly fa una veloce disamina storica alla caccia di flebili tracce di libri che avrebbero potuto entrare nella storia ma che per motivi diversi si sono invece persi nell'oblio. E' un libro intrigante, scritto da uno Sherlock Holmes letterario, che cerca di rendere ai libri perduti quantomeno un doveroso tributo.Tra di essi forse un altro capolavoro omerico, il Margite. Fu la prima opera di Omero, un poemetto comico incentrato su un eroe il cui nome significa “pazzo”. Kelly dice “Tra tutti i libri perduti, il Margite è il meno spiegabile, il più affascinante. Il suo autore era oggetto di una stima incommensurabile. Il poemetto era un pezzo unico tra le sue opere. Ma forse, solo forse, la sua scomparsa non deve addolorarci troppo. Quel che sparisce va reinventato. In mancanza di un'opera comica del più grande poeta di tutti i tempi, le generazioni successive hanno avuto la possibilità di immaginare commedie sarcastiche, sentimentali, capricciose......... Forse vale la pena di subire una perdita se a compensarla è un'esplosione di nuove forme”.Ciò che è sorprendente, è che non bisogna pensare ai libri perduti solo e soltanto di autori vissuti nel passato remoto. Abbiamo perso anche capolavori in fieri di autori più recenti come, per citarne solo qualcuno, Ezra Pound, Franz Kafka, Emil Zola, Fedor Dostevskij, Charles Dickens, Jane Austen e via dicendo, scivolando indietro nel tempo fino a William Shakespeare.Del bardo come sappiamo non esiste as esempio una biografia, ma molti frammenti di vita che consentono di ricostruirne i passi. Di sicuro però ci sono due buchi, gli anni tra il 1585 ed il 1592 e tra il 1613 ed il 1616. Questa vaghezza ha spinto molti addirittura a pensare che in realtà, dietro alla maschera del bardo si nascondessero invece altri personaggi tra i quali addirittura Francesco Bacone.Di sicuro sappiamo cosa oggi di Shakespeare non abbiamo. Ben tre opere: Pene d'amor conquistato (ma forse era un titolo alternativo di un'altra sua opera) il Pericle ed il Cardenio.

Scacco matto
di Jostein Gaarder
Longanesi
64 racconti, tanti quante le caselle di una scacchiera, selezionati da Gaarder tra le cose da lui scritte nel corso degli anni. Diciamo, per i fan di Gaarder, una sorta di Greatest Hits di questo scrittore norvegese. Ho comprato il libro senza avere mai letto nulla prima, nemmeno il suo libro più famoso ovvero “Il mondo di Sofia”.E' proprio da un racconto tratto da Il mondo di Sofia che emerge un quadro per me bellissimo di cos'è la filosofia.Gaarder dice che i filosofi sono quelli che non smettono mai di farsi domande su chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. E' come quando si assiste ad un gioco di prestigio. Non si riesce a capire come il prestigiatore abbia fatto ad estrarre un coniglio dal cappello quando poco prima c'erano dentro solo un paio di fazzoletti di seta bianca.Ma, ed ecco il più bel Post Scriptum che abbia mai letto, “per quanto riguarda il coniglio forse è meglio paragonarlo a tutto l'universo. Noi che ci abitiamo siamo minuscoli parassiti che vivono nella pelliccia del coniglio. I filosofi cercano di arrampicarsi sui peli sottili in modo da poter fissare negli occhi il prestigiatore”. Ho provato ad immaginare la scena!!